Curricula Premiati

 

ALAIN SCHIRATTI

L’articolo 3 del Regolamento del Premio “Nadâl Furlan”  definisce così le finalità dell’attribuzione:  …a persone che si sono distinte per il loro impegno umanitario, sociale, artistico e culturale, ispirato ai valori cristiani, a servizio della società umana e della comunità friulana in particolare.

Nella prassi delle 37 edizioni fino ad oggi succedutesi, la Giuria ha preso in considerazione ben 138 personalità del nostro Friuli, valutandone attentamente ogni curriculum, ricco di anni di impegno, di una vita di dedizione a tali valori.

Quest’anno si è deciso di fare un’eccezione;  il Circolo Culturale Laurenziano ha voluto proporre, e la Giuria unanimemente ha deliberato, una assegnazione speciale, extra prassi, premiando un giovane, Alain Schiratti, per un singolo ma grandioso gesto:  un dono, il dono di un proprio rene alla moglie Cristina.

Da alcuni decenni l’evoluzione della medicina prevede la possibilità di questo tipo di interventi, delle donazioni di organi.  Una pratica conosciuta, abbastanza ma non sufficientemente diffusa.  Alain non è ne il primo ne un rarissimo caso di donatore; però ha una sua unicità, che ci ha colpiti, determinandone la candidatura e il premio: la motivazione che l’ha ispirato in questa impegnativa scelta;  “l’amore è un sentimento durevole – dichiarava ad un giornalista che lo intervistava – e  la promessa che ho fatto davanti all’altare …nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia… è un impegno serio, a cui credere sempre”:  una semplice, magnifica, cristiana dichiarazione di vero e totale amore.

Per coloro a cui fosse sfuggita questa vicenda, ripresa pure da diversi giornali e tv, anche nazionali,  la sintetizziamo brevemente: protagonista è una giovane coppia di sposi che abitano a Buja, Alain e Cristina, lui, quarantaduenne, è originario di Flaibano, lei è originaria tolmezzina. Nel 2007 scoprono che Cristina, affetta da problematiche nefrologiche fin dalla primissima infanzia, comincia a peggiorare, e successivamente deve iniziare a sottoporsi a dialisi. Le stressanti sedute della terapia, dapprima settimanali e infine ogni due giorni, sono molto impegnative, sia per l’organismo che psicologicamente, anche se, ci racconta con serenità, l’ambiente dell’ambulatorio dell’Ospedale di Gemona è molto accogliente sia per l’affabile professionalità del personale sanitario che per l’armonia che regna con gli altri pazienti.   Successivamente i sanitari che l’hanno in cura le prospettano la soluzione del trapianto, che potrebbe porre fine al tormento della dialisi: la ricerca, l’attesa, la lista per trovare un donatore compatibile… è una situazione stressante.  Poi, ulteriori consulti specialistici consigliano di accelerare i tempi ricorrendo alla possibilità di ricevere un rene da vivente:  ecco allora entrare immediatamente in scena il marito Alain, che senza indugi si sottopone alle analisi del caso e risulta compatibile;  Cristina dapprima tergiversa, teme per le conseguenze, se ci saranno postumi e pericoli per Alain, ma di fronte alla sua determinazione acconsente.

Il 22 agosto si ricoverano a Udine e il giorno successivo avviene l’espianto dall’uno e il trapianto all’altra.  Dopo una settimana Alain viene dimesso e dopo tre settimane anche Cristina rientra a casa.

La contentezza dei due sposi per il felice esito è assoluta, ma il loro pensiero subito viene rivolto agli altri, ai tanti altri sfortunati affetti da gravi problematiche di salute e che potrebbero trovare soluzione nel trapianto: decidono quindi di impegnarsi nella promozione e sensibilizzazione al dono degli organi:  un albo dei donatori ampio e articolato permetterebbe di dare più tempestive risposte e speranza e vita a tanti ammalati; …eliminando anche la criminale piaga della compravendita degli organi che affligge tanti poveri e inermi ragazzi in vari angoli del mondo.

I mass media regionali e nazionali, finanche il Corriere della Sera e Canale 5, con le loro logiche consumistiche, si sono impossessati di questa vicenda, di Alain e Cristina, ma caricandola per l’aspetto “sportivo”, ovvero per la rinuncia a continuare nell’attività calcistica dilettantistica che Alain a dovuto fare. “In verità – ci dice il nostro bomber del campionato carnico – è una rinuncia ben da poco, e temporanea, rispetto al piacere di vedere Cristina finalmente stare meglio e avviarsi ad una vita quasi normale…”.  “Siamo stati al gioco dei giornalisti – gli fa eco Cristina – non per manie di notorietà ma solo con il fine della promozione della scelta del dono”.

Ecco, in questa società che così tanto spesso si dimentica dei valori umani e cristiani, della solidarietà, dell’amore per il prossimo e della sacralità del matrimonio, la Giuria ha ritenuto di dare risalto a questa vicenda, di portare ad esempio della nostra comunità il gesto di Alain, l’amore coniugale che l’ha ispirato… e che interpreta appieno lo spirito del Natale.

Ecco perché gli assegniamo il Premio “Nadâl Furlan”.

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FABIO CHIOCCHETTI 

Ci sono varie figure in Friuli particolarmente sensibili nei confronti della cultura ladino-dolomitica e alle interazioni tra questa e la nostra. Una di questi personaggi è, anzi era, perché ci ha lasciati proprio un paio di settimane orsono, Renzo Balzan, nostro competente amico e appassionato friulanista, direttore del mensile “Ladins dal Friûl”. Era stato lui, nell’estate del 2014, a portarci la proposta di candidatura al Premio “Nadâl Furlan” del dott. Fabio Chiocchetti:  “al è el diretôr dal Istitût ladin de Val di Fasse – ci spiegava nel sostenerla – al è un amî dal Friûl, ce tant brâf e preparât; ’j vês di viodi ce sorte di lavors ch’e fâsin lassù, lui e chei âtris de sô clape…”.

Tutto ciò ci è stato confermato nella raccolta delle note biografiche del candidato, dimostratasi agevole per la gran mole di documentazioni disponibili, in tanti testi e siti della rete; altrettanto vasta è risultata la notorietà di cui gode Fabio Chiocchetti  in tanta parte del mondo culturale friulano, per i suoi diversi lavori e ricerche svolte anche in Friuli, in particolare con la Società Filologica Friulana, dove tra gli altri spicca un monumentale studio in tre tomi: “Il canto popolare ladino: Dolomiti, Val di Non, Friuli orientale”.

L’elenco delle sue opere e interventi è vasto e sostanzialmente articolato in due filoni: la linguistica ladina, letteratura, storia e tradizioni popolari, con saggi e articoli, da un lato,    e nel campo musicale dall’altro, quale ricercatore, valorizzatore e promotore della musica e del canto ladini.

Fabio Chiocchetti è nato nel giugno del 1963 a Moena, quindi fin dall’infanzia ha sempre respirato la cultura ladina,  in una regione dove ormai il rispetto per le minoranze etnico-linguistiche, sono la normalità.  La sua personalità, dalle spiccate peculiarità ladine, non è stata inficiata dal doversi spostare prima a Trento, per la formazione scolastica superiore, e poi a Bologna per quella universitaria, dove ha brillantemente conseguito la laurea in Filosofia.

L’affermazione delle tutele della comunità ladina neanche in Trentino è stata subitanea o un regalo, se non altro per l’esiguità della sua area di pertinenza e la ridotta consistenza numerica. Ma l’azione di un gruppo di persone seriamente impegnate, sul fronte sociale e politico, in modo determinato per la consapevolezza delle profonde radici culturali del proprio gruppo etnico, con il quale erano in assoluta sintonia, ha permesso di raggiungere gli odierni risultati.

“Come Ladini ci è stato di enorme aiuto – ci ha raccontato il dott. Chiocchetti – dapprima il poter rivendicare in Sud Tirolo le tutele che già venivano riconosciute per la minoranza tedesca;   per poi rivendicare che era insostenibile vedere nella medesima regione una tal discriminazione, ovvero che le tutele previste per le comunità ladine della Provincia di Bolzano non fossero riconosciute anche per la comunità ladina della Provincia Autonoma di Trento; …e così ci siamo messi a lavorare”.

“Al 1978-‘79 risale il convegno interladino che è stato alla base di questo processo – ha continuato a spiegarci il Direttore – e l’Istitut è diventato il pensatoio della classe dirigente della nostra comunità ladina, con l’elaborazione dei programmi culturali ma anche politici-legislativi;  un percorso per gradi che adesso, focalizzando un esempio all’ambito dell’istruzione, prevede per la Val di Fassa, un Istituto scolastico unico, quasi a statuto speciale, con 5 plessi di elementari, 3 di medie e 3 licei, ad insegnamento misto in ladino e italiano”.

Fabio Chiocchetti fin da ragazzo aderisce all’Union di Ladins dla Dolomites, l’associazione per la difesa e la valorizzazione della lingua ladina.  Questo suo impegno lo mette in luce nella comunità e gli permette di assumere, già nel 1978, l’incarico di Segretario dell’Istitut Cultural Ladin “Majon di Fascegn”, per poi diventarne nel 1991 il Direttore.

In questa sua appassionata attività, le iniziative e le promozioni culturali che il dott. Fabio Chiocchetti realizza sono innumerevoli, ma senza dubbio il “suo” gioiello è il Museo Ladino di Fassa;   già alla fine degli anni settanta ne crea il primo nucleo, facendolo crescere con continui arricchimenti, tant’è che dopo vent’anni di crescita era palese la necessità di una nuova sede che quindi, assieme al prof. Cesare Poppi, progettò e realizzò: l’inaugurazione risale al 2001.  Raccontata così può sembrare un’operazione meritoria ma normale, una opera pubblica andata a buon fine, tra le poche ma non l’unica;  però… quando nei giorni scorsi, alcuni di noi del Laurenziano siamo andati a fargli visita, nella sua sede, siamo rimasti veramente ammirati:  solo de visu ci si rende conto di quanto sia una splendida ed eccezionale istituzione, sia strutturalmente che nei contenuti culturali; disposto su tre livelli, con sala multimediale e libreria, e poi tutte le varie sezioni: dall’inquadramento delle aree d’insediamento dei ladini con le loro peculiarità, allo sguardo sulle origini dei tempi preistorici; dalle illustrazioni degli aspetti economici, ai rapporti con le istituzioni; dalle usanze e tradizioni, alle ritualità, alla storia e cultura, per concludere il percorso con le dinamiche storiche fino alla modernità. È un gioiello che merita una visita non solo per cultori della storia, delle tradizioni, dei costumi e della lingua dei nostri fratelli ladini dolomitici, ma per chiunque ami semplicemente il bello, …oltretutto nel meraviglioso contesto ambientale della Val di Fassa.

Questa eccellente realtà delle istituzioni ladine fassane, di cui il dott. Fabio Chiocchetti è uno dei massimi artefici, unita alla loro disponibilità all’interazione e  collaborazione con le espressioni culturali e sociali friulane, ci fanno sperare anche per il Friuli il compimento fattivo dei dettati costituzionali e statutari regionali e delle leggi nazionali, che già da decenni definiscono i principi per la tutela della minoranza etnico-linguistica friulana.

È, quindi, nell’ottica della promozione degli interscambi tra le realtà ladine e, in generale, tra le minoranze etniche nell’Europa dei popoli, oltre che con l’obiettivo di indicare alla nostra regione una virtuosa affine realtà minoritaria da emulare, che quest’anno il Circolo Laurenziano e la Giuria del Premio volgono lo sguardo anche oltre i confini del Friuli e assegnano al dott. Fabio Chiocchetti, attivo cultore delle etnie ladine dolomitiche e friulana, il “Nadâl Furlan”.

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FEDERICO MARCONI

Mentre ci recavamo, nei giorni scorsi, all’appuntamento per un colloquio-intervista che ci aveva fissato nel suo studio, a casa sua, a Udine, eravamo piuttosto in apprensione: come ci si approccia, cosa si chiede al decano degli architetti friulani, come celare l’insufficienza nel padroneggiarne l’arte e di conoscere l’elenco delle prestigiose opere ideate e progettate dal dott. architetto Federico Marconi?… Mentre ancora articolavamo questi pensieri eravamo già giunti sulla soglia della sua abitazione:  è stato lui stesso a venirci ad accogliere all’uscio, con un affabile sorriso che subito ci ha messi a nostro agio; un garbo e una semplicità eccezionali, che sono propri di quelle grandi persone che non hanno bisogno di ostentare la propria intelligenza ne il proprio status di “personaggio” che già tutti, naturalmente, gli riconoscono.

Entrando, dall’atrio abbiamo scorto la serie delle sue sale di lavoro, che ovviamente traboccavano di svariati incartamenti e fogli progettuali e rotoli di disegni, eccetera, ma ciò che ci ha colpiti è la sequela di librerie, addossate a ogni parete, con innumerevoli libri, volumi, riviste; una dotazione paradigmatica della vastità e profondità culturali su cui poggia la professionalità del dott. Marconi:  “per un bravo architetto – ci ha precisato, fissando la neolaureata che ci accompagnava – è indispensabile una solida ampia cultura, per saper interpretare le aspettative del committente e il carattere della società; infatti le nostre opere, poi, lasciano delle impronte durevoli e condizionanti nella comunità; una responsabilità che solo con tali basi non può né deve pesare o condizionare negativamente la coscienza del professionista:  che allora può combattere fieramente per difendere le proprie idee”.

L’incontro si è caratterizzato in modo dualistico:  noi che cercavamo di raccogliere aneddoti biografici (abbiamo scoperto che la nonna era una Barnaba di Buja) e di scandagliarne il percorso professionale, per far emergere le tappe più significative della prestigiosa carriera dell’architetto Marconi; mentre lui, fornita l’esaudiente risposta e le considerazioni richiestegli, ci riportava al Premio, ci manifestava la sua sorpresa per il riconoscimento e ci chiedeva informazioni sui presentatori della candidatura, le Giuria, gli altri premiati, palesando una schietta modestia.

La sua sorpresa, sincera, nel ricevere un premio, forse è anche la conseguenza di una sorta di delusione che ci è parso di cogliere nell’architetto Marconi, rispetto all’attualità della sua amata professione, che per lui è quasi una missione.  “Oggi è estremamente difficile progettare con creatività e qualità, ed averne gratificazione – ci confidava in un passaggio – perché i committenti sono troppo generici e i bandi pubblici sono spesso incomprensibili, non sono chiari e definiti gli obiettivi delle costruzione né i criteri economici, e allora spesso si deprime la qualità per ricercare il massimo risparmio oppure, se prevalgono gli aspetti dell’immagine e del marketing, si arriva a giustificare vere stravaganze”.

Concetti, questi, che l’architetto ci espone senza alcun tono professorale, con estrema serenità, senza fare nomi e rari i riferimenti specifici, ma come ragionamenti culturali e sociali.  Per altro, di titoli ed esperienza ne avrebbe tali e tanti da reggere qualsiasi confronto.  Basti ricordare che l’inizio della sua carriera professionale si è svolta in Finlandia presso lo Studio di Alvar Aalto, insigne architetto, designer, artista ed accademico, una delle massime figure dell’architettura del ventesimo secolo. Da tale gratificante esperienza, ci racconta a titolo esemplificativo, è l’attenzione che ha recepito dal maestro a riguardo della gestione della luce solare nelle costruzioni, una sensibilità conseguente alle lunghe notti che per mesi e mesi caratterizzano l’ambiente finlandese.  Questo aspetto dello studio della luminosità negli ambienti gli è poi stata molto utile riguardo alle chiese, per comprendere le indicazioni già di San Carlo Borromeo (ecco riemergere lo sua vastità culturale) dove si prescrivena una nuova maggiore luminosità rispetto alla cupezza del gotico, per significare la forza e la presenza Divina.

Per questa sua competenza e sensibilità, l’architetto Marconi è stato chiamato dall’Arcidiocesi di Udine a far parte, per diversi anni dal periodo della ricostruzione, della Commissione di Arte Sacra.  “Un incarico impegnativo – ci spiega – dove spesso dovevo ricoprire il ruolo di censore; analizzavamo i progetti di ricostruzione delle chiese e spesso ne ho criticate le scelte… Ebbi a dire che era un errore delegare totalmente quest’incombenza ai parroci, che molte volte non avevano la cultura per guidare tali progettazioni…  Anni dopo Mons. Battisti mi confidò di essersi convinto delle mie ragioni, se ne scusò, ma ormai…”.

Nel periodo del post-terremoto, l’architetto Marconi venne incaricato anche nelle “terne interdisciplinari” dei tecnici che dovevano verificare il grado delle lesioni degli immobili sinistrati, operando in particolare nel tarcentino. Di tale esperienza  ricorda con rammarico la fretta nel dover assumere le decisioni, di abbattere o mantenere edifici anche interessanti, determinando inevitabilmente anche qualche errore.     È stato Presidente dell’Ordine degli Architetti di Udine.

Ora saremmo tentati di citare il lungo elenco delle prestigiose progettazioni che l’arch. Federico Marconi ha realizzato nella sua pluridecennale attività professionale, anche per compensare la non conoscenza nella comunità della paternità di alcune significative costruzioni del nostro Friuli;  …allora ci limitiamo a ricordarne solo alcune: in campo ecclesiastico il Monastero delle Clarisse di Partistagno e il Complesso parrocchiale “Gesù Buon Pastore a Udine est; in quello civile ci piace segnalare diversi Padiglioni dell’Ospedale di Udine, tra cui quello principale e quello nuovo Udine 2000, il Centro Riferimento Oncologico di Aviano  e il nuovo padiglione dell’Ospedale di San Daniele, inaugurato nelle scorse settimane con unanimi apprezzamenti che però il progettista non ha potuto cogliere direttamente in quanto dimenticati d’invitarlo.

Per lungo tempo, di certo molte, delle sue opere dureranno e rimarranno ammirate, qualificanti del tessuto urbano del nostro Friuli, che oggi lo ringrazia di ciò e per la sua competenza, cultura ed umanità,  attribuendoli il Premio “Nadâl Furlan”.

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ODORICO SERENA

Nato a Cividale del F. nel 1936, coniugato, risiede a Perteole. Gli è stato dato il nome di Odorico in ricordo del nonno, originario della Val Resia. Ha compiuto gli studi classici al liceo Ginnasio “Paolo Diacono” di Cividale, conseguendo successivamente due lauree, in filosofia e in pedagogia, all’università di Ts. In Possesso del diploma di abilitazione magistrale, è abilitato anche all’insegnamento nelle scuole medie e enegli istituti secondari di secondo grado. Ha così insegnato in tutti gli ordini di scuola, fino al 1973, anno in cui ha assunto l’incarico di Direttore Regionale dell’ente di diritto pubblico O.N.A.I.R.C, che gestiva scuole materne nelle regioni di confine del FVG e del Trentino Alto Adige con sezioni di lingua italiana, germanica e slovena. “Allora c’erano quattro calendari scolastici per le scuole dell’infanzia” spiega Odorico Serena “che varianno a seconda della zona in cui si trovavano le Scuole: un calendario invernale da ottobre a giugno ; uno estivo da marzo a Natale; uno turistico, a Grado, che comprendeva anche luglio e agosto; uno agricolo, da novembre a luglio, che terminava dopo la raccolta del Frumento e la semina.”
“Con il sisma del maggio ’76 sono crollate oltre venti scuole dell’infanzia “ ricorda Serena “e sono state rapidamente allestite venti scuole sotto le tende, finanziate dal ministero. Si tenevano aperte dieci ore al giorno, in modo da lasciare liberi i genitori di lavorare alla ricostruzione. A settembre poi, in seguito alla seconda scossa di terremoto, le famiglie si trasferirono in località marine ( Grado, Lignano, Bibione) e l’O.N.A.I.R.C ha aperto delle sezioni a Villa Ostende”.
L’ente è stato soppresso dal 20 settembre 1977, con il conseguente compito molto impegnativo di ricollocare sia il personale docente che quello inserviente, che non era previsto nei ruoli dello Stato. Odorico Serena ricorda numerosi viaggi a Roma per risolvere i problemi derivanti dalla soprressione dell’Ente che comportavano complessi aspetti burocratici e finanziari. Fu allora che si ottenne l’istituzione di una legge che prevedeva la cessione dei beni mobili e immobili dell’ex O.N.A.I.R.C dallo Stato ai Comuni.
Sempre nel settembre del 1977 (fino al luglio dell’89) Odorico Serena fu nominato il primo ispettore tecnico in Italia del MPI, per il settore della scuola materna statale, con sede di servizio presso il provveditorato agli Studi di Gorizia e con competenza sulle istituzioni per infanzia delle Province della Regione e, per alcuni anni, anche del Veneto. Nel 1989 è stato nominato Dirigente Superiore per i servizi ispettivi del MPI presso la Sovraintendenza Scolastica Regionale del FVG di Trieste. Da allora ha assunto numerosi incarichi: ha fatto parte di varie commissioni di studio a livello ministeriale; è stato presidente d’esame ai concorsi a posti d’insegnante; ha coordinato gruppi di lavoro ministeriali occupandosi di aggiornamento scolastico, di autonomia organizzativa e didattica, di educazione alla salute per la prevenzione delle tossicodipendenze e di valutazione del personale direttivo e docente.
“La scuola dell’infanzia è stata la mia vita” sottolinea l’ispettore Serena “io la considero un gioiello di famiglia, un mondo tutto da scoprire”. Una passione nata all’università avendo avuto per docenti dei “grandi” della psicologia e della pedagogia, quali Gaetano Caneza, Guido Petter, Claudio Desinan, Giorgio Tampieri. Per oltre 20 anni Odorico Serena si è istituzionalmente, e con passione, dedicato alle problematiche dell’inserimento e dell’integrazione nelle scuole pubbliche dei bambini in situazione di handicap, vigilando anche sui corsi biennali di specializzazione della Regione per la preparazione degli insegnanti di sostegno, essendone stato anche docente.
Un progetto di particolare importanza, curato da un equipe composta, oltre che da Serena, anche dal cardiologo dott. Claudio(?) Moretti, dal professor Desinan e dalla dott.ssa Rosalba Perini. E’ stata una sperimentazione triennale sostenuta dal l’I.R.R.S.A.E. Si trattava di un’azione di prevenzione delle malattie cardiache, che è durata tre anni in varie scuole dell’infanzia, con il monitoraggio dei bambini durante un percorso educativo di prevenzione ed educazione a corretti stili di vita. Le azioni comprendevano: l’alimentazione, il movimento e il contrasto alle tossicodipendenze. “Proprio così” spiega Serena “ sembrerà strano, ma in alcune zone, allora, numerose famiglie avevano abitudini nocive per i bambini, come quella di far loro assumere caffè e alcolici fin dal mattino, prima di andare a scuola, per contrastare i rigori del freddo. Attraverso i bambini si giungeva anche alle famiglie, modificando gradualmente gli stili di vita scorretti”.
Questo lavoro, visionato dal noto prof. Attilio Maseri, fu da lui molto apprezzato, tanto che dichiarò, presentandolo a un congresso internazionale : ”A mio avviso è il primo progetto del genere a livello mondiale”.
Un’altra passione dell’ispettore Serena è stata quella di diffondere la cultura del plurilinguismo nelle scuole della regione sostenendo l’applicazione della legge 482/1999 di tutela delle minoranze linguistiche, in primis di quelle ladino-friulane. L’intuizione di Serena fu quella di organizzare, sostenuto dall’IRRSAE, corsi di formazione per docenti italiani e sloveni, mettendoli così a contatto in modo da superare preconcetti e resistenze. Odorico Serena ha tradotto in lingua friulana gli “Orientamenti dell’attività educativa nelle scuole materne e statali” (dm 3.6 1991) in collaborazione con gli amici e studiosi Domenico Zannier e Galliano Zoff. Di rilievo nazionale inoltre la sperimentazione effettuata nelle scuole dell’infanzia e primarie di Tarvisio, in collaborazione con la direttrice didattica Contessi, nelle quali gli alunni svolgevano l’attività didattica in 4 lingue: italiano, tedesco, friulano, sloveno (prosegue tuttora).
Serena è stato autore di numerose pubblicazioni, di oltre un centinaio fra articoli e saggi di carattere scolastico e, per oltre 15 anni, ha fatto parte della redazione della prestigiosa rivista scolastica “L’Educatore”. Impossibile elencare tutti i ruoli assunti e gli incarichi di rilievo assegnatigli dal Ministero e dalla Direzione Scolastica Regionale; ricordiamo però che nel 2000 gli è stata conferita dalla Presidenza della Repubblica la medaglia d’argento ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte.
Per il grande contributo professionale dato alla scuola, alla lingua e alla cultura friulana e per la ricchezza umana e di valori espressi nel suo percorso di vita, viene conferito all’ispettore Odorico Serena il premio Nadal Furlan.

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VALTER SIVILOTTI

Valter Sivilotti, nato a Udine il 1963, coniugato, risiede a Rive d’Arcano. Ha studiato pianoforte con Claudio Mansutti e composizione con Daniele Zanettovich presso il conservatorio “Jacopo Tomadini” di Udine. Attualmente è docente presso il conservatorio R. Duni di Matera. Ha collaborato, in qualità di compositore – direttore, con numerose istituzioni musicali sia italiane che di vari stati (Romania, Russia, Cuba) tra cui, di rilievo particolare, l’orchestra sinfonica del Teatro Massimo di Palermo e l’Orchesta Filarmonica di Zagabria.
Da molti anni si dedica con crescente interesse ad un lavoro ricomposizione collaborando con molti celebri artisti provenienti dal mondo della canzone d’autore. Per citarne alcuni: Giorgio Conte, Bruno Lauzi, Ron, Elisa, Antonella Ruggiero, Alice, Milva, Gigliola Cinquetti, Simone Cristicchi…
Nel 2002 è venuto a Buja assieme a Sergio Endrigo in occasione della rassegna “Canzoni di Confine” che il maestro Sivilotti dirige dal 2000. E’ un progetto nato nei comuni della zona collinare con lo scopo di mettere a confronto i cantautori della nostra regione con artisti nazionali e internazionali. Anche nel 2005 il M° Sivilotti venne a Buja, stavolta con Bruni Lauzi. Approfondiamo con il Maestro alcuni lavori che hanno riscosso particolare successo. Ad esempio ha interamente scritto le musiche per “la variante di Luneburg”, fabula in musica interpretata dalla grande Milva e da Walter Mramor. La versione teatrale è stata scritta da Paolo Maurensig, autore del celeberrimo romanzo. Lo spettacolo, in tourné dal 2007, è stato rappresentato in Italia e all’estero riscuotendo un successo mondiale.
Tutti conosciamo il musical civile “Magazzino 18”, vincitore del prestigioso premio “Le maschere del Teatro” come miglior musica per teatro, scritto da Simone Cristicchi, musica di Valter Sivilotti, diretto da Antonio Calenda: replicato con grande successo per più di 200 volte nei maggiori teatri italiani.
Come mai la scelta di questo argomento, riguardante la vicenda degli esuli istriani, che parla di un periodo storico buio e volutamente trascurato dai testi scolastici? “Perché mia moglie Franca, è figlia di esuli, che vivevano a Isola D’Istria” spiega il maestro Sivilotti. “E quindi ho avuto modo di conoscere il dramma vissuto in quel periodo”. Le rappresentazioni del musical inizialmente incontrarono le resistenze dei direttori artistici dei teatri della nostra regione, ma il grande successo di pubblico e della critica ha fatto cadere le reticenze.
Come è nato questo rapporto artistico e umano con Simone Cristicchi con cui il maestro Sivilotti collabora da 7 anni?. “In verità Sergio Endrigo è stato il tratto di unione con Cristicchi” spiega il Maestro “Endrigo era già scomparso nel 2010 ma io ho avvicinato Cristicchi per invitarlo alla rassegna delle “Canzoni di Confine” conoscendo l’apprezzamento di Simone nei confronti del grande cantautore, noto per altro in tutto il mondo, specie in Sud America. Iniziammo a lavorare insieme con un orchestra di studenti dei conservatori di Ud e Ts, tutti minorenni. Simone Cristicchi è un artista geniale, dotato di grandi capacità creative; ma è anche una persona semplice e sensibile che si commuove mentre recita”. E così il rapporto di amicizia e stima reciproca ha portato a realizzare altri progetti di successo:
“Il secondo figlio di Dio” che ha debuttato al MittelFest nel 2016 a Cividale, ed è in tourné nei più importanti teatri italiani ( oggi stesso viene rappresentato a Milano).
E ancora il recente, straordinario “Orcolat 76”, presentato con grandissimo successo di pubblico e critica il 15 settembre presso il Duomo di Gemona. Per il Friuli, che ricorda quest’anno i 40 anni trascorsi dal tremendo sisma, è stato uno spettacolo carico di emozioni. Ma lo sarà sicuramente anche in tutta Italia dove verrà portato in tourné poiché, come abbiamo visto, purtroppo il terremoto non risparmia le altre regioni che stanno ora vivendo la drammatica esperienza che abbiamo vissuto noi friulani nel ’76.
Al Maestro Sivilotti sta a cuore un percorso trasfontaliero che vede da 20 anni la sua collaborazione con la “Casa della Cultura”, che coinvolge la Slovenia e la Ex Jugoslavia. “Avevo visto a Gorizia” spiega il Maestro “una città molto divisa. Abbiamo così formato un’orchestra composta da ragazzi friulani, italiani e sloveni. I concerti si tengono sul confine, a Gorizia, sulla Piazza Transalpina, dove il palcoscenico ha una particolarità: si trova a metà in Italia e a metà in Slovenia. Abbiamo lavorato ad una co-produzione di numerosi eventi – continua Sivilotti – coinvolgendo la nostra cantante Elisa e la celebre artista slovena Tinkara, fino ad arrivare all’inaugurazione del”Sentiero della Pace” a Gorizia, con la partecipazione delle due popolazioni. Il coronamento di questo progetto di pace è rappresentato da “Carmina Balcanica”, commissionato dal Mittelfest e presentato in prima assoluta a Cividale. Racconta Sivilotti: “Ho chiesto a 8 poeti dell’area balcanica di scrivere delle composizioni inedite e libere sul tema dell’acqua, in tutte le sue sfaccettature, come bene universale, che poi ho musicato”. Un lavoro originale e di grande soddisfazione.
L’entusiasmo e la creatività di cui è ricco Valter Sivilotti certamente saranno al maestro di stimolo all’ideazione di altri progetti importanti che noi gli auguriamo di sviluppare, riscuotendo gli stessi successi fino ad oggi ottenuti.
Per il grande contributo artistico, sia a livello regionale che a livello internazionale, e per la ricchezza dei lavori etici di pace, solidarietà e intercultura dei quali rappresenta un efficace esempio e un costante promotore, al maestro Valter Sivilotti viene assegnato il premio Nadal Furlan 2016.

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